12/02/2018 - Documento della Camera Penale di Milano


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SFIDA ELETTORALE ALL’OK CORRALL

Le posizioni sui temi della giustizia, espresse o comunque ribadite da alcuni candidati alle imminenti elezioni politiche e che preludono ai contenuti dei rispettivi programmi, meritano una riflessione che consenta di riportare il contenuto della discussione su binari più adeguati alle ragioni della verità ed a quelle delle garanzie individuali.

Spiace rilevare che alcune di queste opinioni sono state illustrate da operatori del diritto alla cui qualifica corrisponde una visione della giustizia e del processo del tutto difforme ai canoni costituzionali ed ai principi fondamentali del diritto.

Sfruttando la propria visibilità nel certamen elettorale si intende trasferire ai cittadini l’idea che l’Italia sia il paese di elezione ideale per i “delinquenti”, affermando che il nostro sistema assicuri loro una sorta di impunità generalizzata grazie all’eccessiva durata dei processi e all’esistenza di riti premiali pendant con i benefici dell’ordinamento penitenziario la cui riforma escluderebbe la possibilità di irrogare il carcere anche nei confronti dei condannati recidivi.

Per altro verso, recenti fatti di cronaca, autorizzano da un lato la invocazione di un “diritto penale del nemico” indistintamente reattivo nei confronti delle popolazioni migranti, dall’altro autorizzano il riacutizzarsi del dibattito sulla estensione della legittima difesa a fronte di uno Stato suppostamente imbelle ed inadeguato a garantire sicurezza.  

A queste esternazioni, frutto di una visione volutamente alterata dello stato della giustizia penale in Italia e dei contenuti di un intervento riformatore volto a meglio realizzare le finalità rieducative della pena, crediamo si debba reagire riportando all’interno di confini corretti la discussione su questi temi.

A chi definisce vergognoso l’attuale progetto di riforma dell’ordinamento penitenziario si deve obiettare che lo stesso è frutto di una delega parlamentare e dell’opera di commissioni tecniche di alto profilo e non di una iniziativa del tutto estemporanea.

Inoltre, le misure alternative alla detenzione, in particolare quella dell’affidamento in prova al servizio sociale, che potrebbe essere esteso sino a quattro anni, non sono applicate in modo automatico ed immediato, come la propaganda politica sostiene, sottacendo che sono esclusi dall’immediata applicazione di questi benefici i condannati per una serie di delitti di grave allarme sociale e che la concessione delle misure alternative alla detenzione è sempre subordinata ad una valutazione prognostica da parte di un giudice che considera, tra i vari parametri di riferimento, sia i precedenti penali e i processi in corso, sia l’adesione ad un progetto rivolto alla rieducazione del reo.

La prova della serietà e del rigore di tale impostazione è il marginale tasso di recidiva di coloro che hanno ottenuto un beneficio penitenziario, come risulta dai dati del Ministero della Giustizia.

Stupisce, ancora, che operatori del diritto invochino l’abolizione dei riti alternativi, a torto, definiti riti premiali. Si dimentica, infatti, che proprio la necessità di giungere in tempi brevi alla definitività della sentenza ed alla applicazione della pena, rappresenta il fondamento della loro esistenza nel codice di rito ed assume particolare rilievo con finalità deflattive in un sistema caratterizzato dalla obbligatorietà dell’azione penale; tutto ciò a tacer del fatto che vi è sempre un controllo giurisdizionale da parte del giudice sulla congruità della pena nei casi di cosiddetto “patteggiamento” e autonomia nel determinarla nel giudizio abbreviato.

In sostanza, il dibattito così come impostato sembra volto principalmente ad alimentare il senso di insicurezza favorendo il consenso verso chi appaia disposto ad interventi normativi il cui sapore è quello acre della vendetta sociale e della surroga da parte dei privati al potere punitivo dello Stato.

Il timore, per gli avvocati, consiste in un distorto concetto di incolumità personale cui porre rimedio con una legislazione drastica a fondamento di una giustizia penale irrispettosa dei principi di legalità, di non colpevolezza, del giusto processo e di rieducazione della pena.

Contro ogni deriva incline ad enunciare principi di giustizia privata e sommaria, storicamente anticamera di sistemi autoritari, non siamo e non rimarremo silenti.

Il Consiglio Direttivo