24/02/2014 - Nota del Presidente della Camera Penale di Milano


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"Giocare con le parole e non solo"

La forza e la magia delle parole.

Bartezzaghi -  da par suo e che invidia! - gioca con le parole e scompone e ricompone i nomi dei nuovi ministri dentro lo schema dell'anagramma.

Il risultato è spesso sorprendente per la capacità evocativa che le nuove parole hanno, chiamando direttamente in causa tratti della personalità o caratteristiche funzionali di coloro che  descrivono.

In queste ore molto si è discusso sull'esito finale di quel gioco di società in cui si è trasformata, da tempo, la scelta del ministro della Giustizia.

Una graticola mediatica alla cui incandescenza hanno dovuto piegarsi personalità del mondo giudiziario e non solo.

Molti anni addietro un mio amico, molto caustico, sosteneva che i mestieri quasi impossibili nel nostro Paese fossero due: l'allenatore dell'Inter ed il ministro della Giustizia.

Oggi, mi viene da dire, che sono  almeno tre, rientrando nel novero anche l'allenatore del Milan...

La repentina scelta di un politico al posto di un pubblico ministero in servizio permanente effettivo, infatti,  ha scatenato un coro di indignata preoccupazione in quel settore della società che, pigramente o per convenienza, è convinto della funzione salvifica della giustizia penale.

Al contrario, confesso, nelle ore immediatamente precedenti allo scioglimento della riserva da parte del Presidente del Consiglio incaricato, quella ipotesi sempre più accreditata è stata per me causa di seria preoccupazione mista ad una discreto stato di dinamico nervosismo.

Problema superato e ben descritto dalle parole del presidente dell'ANM : “ L'inopportunità che un magistrato in servizio vada a ricoprire una funzione apicale del potere esecutivo come quella di Ministro della Giustizia deriva dalla necessità di non confondere i ruoli . () Se vogliamo difendere l'autonomia e l'indipendenza della giurisdizione, occorre una distinzione netta con l'ambito dell'attività politica e di governo.

D'accordo, ma il problema vero  è storicamente quello dell'autonomia dell'azione politica di governo dal condizionamento ( qualcuno in modo incisivo lo ha descritto come un  vero e proprio interdetto )della stessa magistratura.

Il problema si apre alla nuova prospettiva, cui gli analisti politici sono approdati, e che ha per contenuto il condizionamento esercitato dalla burocrazia nei confronti della politica: quel vero e proprio potere ombra che è cresciuto smisuratamente  negli apparati ministeriali.

C'è da augurarsi, e l'augurio non basta, che vi sia un segno netto della politica per sbarrare la strada verso i vertici dei ministeri a consiglieri di stato e giudici del TAR cosiccome dovrà essere definitivamente cancellato il patologico fenomeno dei magistrati ordinari posti fuori ruolo.

Il ritorno di un politico in via Arenula si accompagna alla necessità che la politica riprenda in mano le redini dei processi necessari per le riforme e lo faccia con coraggio e lontano da ogni strumentalizzazione e condizionamento.

Per questo sarebbe fondamentale, anche per quel ministero,  un segno di discontinuità rispetto al passato, proprio con riguardo alle nomine dei posti chiave dell'apparato burocratico: il mondo della cultura giuridica e dell'avvocatura costituiscono un serbatoio utile da cui attingere mentre non vanno trascurati anche altri saperi solo apparentemente lontani o estranei alla Giustizia.

Ma dicevamo di Bartezzaghi.

Ecco l'anagramma del ministro Orlando : non adora darle.

Dopo anni di far west il messaggio che la nuova composizione di quelle parole ci  manda è senza dubbio rassicurante.

A furia di usare il tema delle riforme come una vera e propria clava, abbiamo visto  e conosciuto il risultato di una  paralisi del processo riformatore e del progressivo essiccamento delle tematiche culturali che le sottendono.

Orlando ha il pregio di essersi accostato al complesso universo della Giustizia da laico, lontano dalle liturgie dei chierici.

Ha così sviluppato convinzioni ed idee, alcune delle quali  non condivisibili, ma che hanno avuto il merito di trasmettere un'apprezzabile esigenza di  fondo: il superamento dell'asfittica contrapposizione pro o contro Berlusconi che ha inchiodato per più di vent'anni le sorti del dibattito sulla Giustizia di questo Paese.

Emerge così l'importanza del ruolo politico delle camere penali capace di un'interlocuzione serrata e costruttiva, idonea ad incalzare – ed a volte anche a prevenire – la stessa azione politica del Governo, spingendola verso il rafforzamento della propria autonomia dai condizionamenti della magistratura associata.

Se è vero che l'anagramma ci dice che il Ministro non adora darle, ciò non esclude che a volte darle sia necessario.

                                                                         

                                                                                                                                                                                                        Salvatore Scuto