11/04/2014 - Nota del Consiglio Direttivo


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Sentenza Corte Costituzionale del 9 aprile 2014, n. 80

Illegittimità Costituzionale dell'art. 10-ter del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74

La Corte Costituzionale con Sentenza del 9  aprile 2014, n. 80, sull'art. 10-ter del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 10-ter del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, «nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l'omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo di imposta, ad euro 103.291,38».

Con la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 10 ter del d. Lg.vo n. 74 del 2000, i fatti commessi fino al 17 settembre 2011 per importi non superiori ad euro 103.291,38 non sono più previsti dalla legge come reato. Ciò apre le porte allo “smaltimento” di tutti i procedimenti pendenti ed alla revoca delle sentenze di condanna o dei decreti penali attraverso la proposizione di incidente di esecuzione ai sensi dell’art. 673 c.p.p.

Ecco, in breve, il ragionamento che si legge nella motivazione della sentenza.

La questione è stata sollevata con riferimento all’art. 3 della Costituzione (anche) dal Tribunale di Bergamo.

Il Giudice rimettente ha rilevato che l’art. 10 ter del decreto legislativo 10 marzo 2000 n. 74, che punisce l’omesso versamento dell’ IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo (cioè il 27 dicembre dell’anno successivo al periodo di imposta di riferimento), - prima della modifica intervenuta con l’art. 2, comma 36-vicies semel legge n. 148 del 2011 (che ha abbassato la soglia di punibilità per il reato di omessa dichiarazione ad euro 30.000, e quella per la dichiarazione infedele ad euro 50.000) - fissa la soglia di punibilità ad euro 50.000; il contribuente che invece non presenta la dichiarazione annuale IVA, reato punito dall’art. 5 del d.lgs.vo n. 74 del 2000, rimane esente da pena se non raggiunge la soglia di punibilità di euro 77.468,53, prevista, appunto, dal reato di omessa dichiarazione.

In sostanza, secondo il Giudice rimettente, l’articolo 10 ter viola il principio di eguaglianza in quanto assoggetta il contribuente che, dopo aver regolarmente presentato la dichiarazione annuale IVA, omette il versamento dell’imposta ad un peggiore trattamento rispetto a quello previsto per il contribuente che invece non presenta la dichiarazione o presenta una dichiarazione infedele (artt. 5 e 4 d.lgs.vo n. 74 del 2000).

La Consulta nel condividere le argomentazioni sollevate dal Tribunale di Bergamo ha ritenuto ammissibile e rilevante la questione di incostituzionalità sul rilievo che l’azione di politica criminale, che sottende la riforma penale tributaria realizzata dal d.lgs.vo n. 74 del 2000, si focalizza sull’intervento repressivo nella fase dell’“auto accertamento” del debito d’imposta, cioè della dichiarazione annuale ai fini delle imposte sui redditi e sull’IVA.

La norma sanziona penalmente il contribuente che dopo aver presentato la dichiarazione annuale ai fini IVA, e dalla quale risulta un saldo debitorio superiore ad euro 50.000, non provvede al pagamento della somma dovuta entro il 27 dicembre dell’anno successivo.

La Corte costituzionale ha condiviso il difetto di coordinamento esistente tra la soglia di punibilità prevista per il delitto di omesso versamento di IVA e quella prevista in relazione ai delitti di omessa presentazione delle dichiarazioni, cioè tra i reati previsti dall’art. 5 (omessa dichiarazione) e dall’art. 4 (dichiarazione infedele) del succitato decreto legislativo.

Ciò ha creato sperequazioni sanzionatorie “… che, per la loro manifesta irragionevolezza, rendono censurabile l’esercizio della discrezionalità pure spettante al legislatore in materia di configurazione delle fattispecie astratte di reato (ex plurimis, sentenze n. 68 del 2012, n. 273 e n. 43 del 2010)”.

In sostanza si verifica una “distonia” nel sistema di repressione degli illeciti fiscali che porta a punire l’omessa dichiarazione se l’imposta evasa è superiore, per le singole imposte, ad euro 77.468,53, con evidente illogicità se l’imposta dovuta, e non pagata, dal contribuente si trova nella soglia compresa tra euro 50.000 ed euro 77.468,53.

Analoga discrasia si ravvisa in relazione alla dichiarazione infedele la cui punibilità presuppone ai sensi dell’art. 4 che l’imposta evasa sia superiore, con riferimento a ciascuna delle singole imposte, ad euro 103.291,38. Quindi, se l’IVA da versare si colloca nei limiti di rilevanza compresi tra euro 50.000 ed euro 103.291,38, riceve migliore trattamento sanzionatorio il contribuente che presenta una dichiarazione inveritiera - non punibile per mancato superamento della soglia - rispetto al contribuente che invece espone fedelmente la propria situazione in dichiarazione ma poi non versa l’imposta di cui si è riconosciuto debitore.

Afferma la Corte che la lesione del principio di uguaglianza è insito nella struttura normativa, ed è manifesta nel fatto che l’omessa dichiarazione e  la dichiarazione infedele sono illeciti incontestabilmente più gravi sul piano dell’attitudine lesiva degli interessi del fisco rispetto all’omesso versamento dell’IVA; come emerge anche dal confronto delle rispettive pene edittali: reclusione da uno a tre anni per i primi due reati e reclusione da sei mesi a due anni per l’omesso versamento dell’IVA.

Ma anche sotto il profilo della condotta posta in essere dal contribuente, certamente più grave e più insidiosa è quella di presentare una dichiarazione infedele, tesa ad occultare l’imponibile, o addirittura la non presentazione della dichiarazione, rispetto a quella del contribuente che invece ha presentato la dichiarazione ma omette di versare l’imposta “auto denunciata”, che per le più varie ragioni, anche indipendenti da uno specifico intento evasivo, poi non paga.

La disuguaglianza, del resto, è stata eliminata dall’articolo 2, comma 36-vicies semel del d.l. n.138 del 2011, in sede di conversione nella legge n. 148 del 2011, che ha ridotto la soglia di punibilità dell’omessa dichiarazione a euro 30.000, e quella della dichiarazione infedele ad euro 50.000, ampliando perciò l’area di rilevanza penale.

Tale normativa si applica però ai soli fatti successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione e, segnatamente, dal 17 settembre 2011, in quanto si tratta di modifiche in pejus per il reo, sì che la disuguaglianza costituzionale permane fino ai fatti commessi, appunto, al 17 settembre 2011.

Perciò la Corte costituzionale ha ritenuto di rimuovere la duplice violazione del principio di uguaglianza allineando la soglia di punibilità dell’omesso versamento dell’IVA alla più alta soglia di punibilità prevista per la violazione in relazione alla quale si manifesta l’irragionevole disparità di trattamento, e cioè quella che è prevista per la dichiarazione infedele fino al settembre 2011, cioè euro 103.291,38 (dopo il 17 settembre 2011, come rilevato, la soglia è di euro 50.000).