19/02/2015 - Nota del Consiglio Direttivo


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Il suicidio nel carcere di Opera e quell’inaccettabile euforia

 

Ogni suicidio in carcere è di per sé inaccettabile. E’ il segno del fallimento di un sistema penitenziario che dovrebbe avviare le persone alla revisione di scelte devianti ed accompagnarle di nuovo nel mondo. 

A questo dovrebbe servire anche, e soprattutto, la pena detentiva.

Ogni suicidio segna una battuta di arresto e dovrebbe invitare ognuno di noi a riflettere sul sistema e sull’organizzazione del nostro mondo carcerario, all’interno del quale tanto si dovrebbe e si potrebbe fare di meglio in termini di condizioni di vita, ancor prima che di interventi riabilitativi.

Oltre ad una costruttiva riflessione, dovrebbe essere ammesso solo un composto e rispettoso silenzio.

Le frasi pronunciate da alcuni agenti di polizia penitenziaria su Facebook, i quali, a fronte al suicidio del giovane rumeno, euforicamente, fanno la conta al ribasso delle presenze in carcere, fanno rabbrividire. 

“Meno uno” “E chi se ne frega” “Uno in meno che lo stato non ha da magna”: questi alcuni dei commenti ora all’attenzione del Ministro della Giustizia e del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, che in tempi rapidi intende fare luce sull’accaduto.

Intanto a noi resta un carcere dove può accadere anche che vi sia qualcuno che si rallegri di un atto tanto drammatico qual è un suicidio in un luogo di detenzione.  Un qualcuno però che, proprio per le funzioni e per l’incarico assunto, dovrebbe declinare quotidianamente attenzioni e sensibilità diverse, anche per rispetto nei confronti di chi, ed è certamente la stragrande maggioranza degli operatori, nel silenzio e nell’impegno quotidiano lavora per un carcere migliore.

Milano, 19 febbraio 2015

 

                                                                       Il Consiglio Direttivo