19/09/2016 - Documento del Consiglio Direttivo della Camera Penale di Milano


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 L’ESTETICA DELLA GIUSTIZIA, LE GABBIE E L’IPOCRISIA

A margine della presentazione del bel libro del Professor Amodio “Estetica della giustizia  penale”, svoltasi lo scorso venerdì in Aula Magna a Palazzo di giustizia, il Dottor Bruti Liberati, già Procuratore della Repubblica, ora in pensione, è brevemente intervenuto a proposito del tema della “bruttura” delle gabbie nelle aule di giustizia. Egli ha esortato magistrati e avvocati a mobilitarsi affinché vengano eliminate.

Il tema era già stato toccato qualche anno fa, quando, in occasione dell’inizio del processo Ruby, l’allora Presidente del Tribunale, Livia Pomodoro, fece coprire con tendoni bianchi le ampie gabbie dell’aula c.d. Calabresi. La Camera Penale di Milano, allora, commentò la decisione, sottolineando che il meccanismo di rimozione visiva metteva ancor più in risalto le modalità ordinarie di celebrazione dei processi con detenuti.

Ora il problema viene posto in termini generali. Senza dubbio, non possiamo che concordare sulla necessità di modificare lo stato delle cose.

La gabbia di ferro, orribile oggetto simbolico di una colpevolezza già accertata e per questo stigmatizzato in alcune decisioni della Corte EDU che hanno deciso per la violazione dell’art. 3 CEDU (Svinarenko e Slyadnev c. Russia (GC), 17 luglio 2014, ha di recente statuito in modo inequivoco che tale forma di detenzione costituisce trattamento inumano e degradante a prescindere da eventuali esigenze di sicurezza – v. par. 127-139), è sostituito in alcune aule più moderne e in altri paesi da teche di legno e vetro. Nei paesi di tradizione angloamericana, come noto attraverso la relativa cinematografia, vi è un “banco degli imputati” (dock – v. un interessante articolo sul tema http://www.nytimes.com/2013/11/19/world/europe/courtroom-cages-remain-common-despite-criticism.html).

Nelle aule milanesi, viceversa, in particolare negli inferi del piano terra nella zona dedicata alle direttissime, si assiste alla celebrazione dei processi con moltissimi imputati detenuti accalcati nelle gabbie. Solo negli ultimi anni si registra una maggiore sensibilità, che porta ad ingressi scaglionati e quindi ad un minore affollamento.

Tutto ciò, oltre ad essere contrario ad un principio generale di dignità, ostacola in modo significativo una effettiva partecipazione consapevole dell’imputato al proprio processo e una utile comunicazione con il proprio difensore.

Allora, certamente, tutto ciò deve essere cambiato.

Il cambiamento, però, deve includere un nuovo approccio rispetto alle norme vigenti che disciplinano le modalità di partecipazione dell’imputato detenuto al proprio processo, altrimenti ci si nasconde dietro all’ipocrisia di una dichiarazione di intenti che maschera quotidiane violazioni delle norme vigenti.

Il nostro sistema processuale contiene, infatti, alcune disposizioni che sono costantemente disapplicate.

A partire dall’art. 42 bis O.P., che vieta per le traduzioni individuali dei detenuti l’uso delle manette, se non in caso di pericolo di fuga o di condizioni particolarmente difficili, certificate da un provvedimento della direzione del carcere o dell’autorità giudiziaria.

Per proseguire con l’art. 474 c.p.p., secondo cui “l’imputato assiste all’udienza libero nella persona, anche se detenuto, salvo che in questo caso siano necessarie cautele per prevenire il pericolo di fuga o di violenza”.

O, ancora, l’art. 146 disp. att. c.p.p., che prevede che le parti private siedano a fianco dei propri difensori, salvo la sussistenza di esigenze di cautela.

Dunque, siamo noi difensori, per primi, a dover esigere l’applicazione di queste norme, secondo le quali la regola è che l’imputato sia tradotto in udienza senza i c.d. “ferri”, che durante il proprio processo non sia ristretto e che, invece, sieda di fianco al proprio avvocato. E dobbiamo esigere che tutti i soggetti processuali, magistrati per primi, siano disposti ad applicare queste norme che esprimono la civiltà del nostro sistema processuale.

Fino a che queste gabbie ideali non saranno rimosse, a poco servirà la sostituzione delle sbarre con lastre di vetro.

Milano, 19 settembre 2016

Il Consiglio Direttivo